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La disparità retributiva di genere: cause, conseguenze e politiche

Despite constituting half of the world’s population, women have always suffered, and unfortunately continue to suffer, discrimination of various kinds: from the denial of the right to vote until a few decades ago, to the consideration of women only as the “angels of the house”, up to the the many forms of penalization and marginalization of women in the work market. In substance, unlike men, women have to fight harder for the application of their rights.

Un classico esempio di discriminazione contro le donne riguarda la disparità retributiva che sussiste nel mondo del lavoro. Secondo le più recenti statistiche ONU, a livello mondiale il cosiddetto GPG (gender pay gap) si aggira intorno al 23%. In sostanza, per ogni dollaro guadagnato da un uomo, una donna guadagna solo 77 centesimi. Facendo un calcolo, questo teoricamente vorrebbe dire che per ogni anno solare, una donna smetterebbe di essere pagata intorno al 9 di ottobre, considerando che i giorni successivi non sarebbero retribuiti, a differenza dei suoi colleghi maschi.

La questione della parità salariale è stata ormai oggetto di dibattito da vari decenni. Non appena la comunità internazionale ha iniziato a parlare dell’importanza dei diritti umani, verso la metà del secolo scorso circa, una dei primi temi affrontati è stato, appunto, il principio di parità retributiva per uguale valore di lavoro tra uomini e donne. Ogni ora di lavoro di un uomo deve essere pagata ugualmente all’ora di lavoro di stesso valore della donna: per esempio, due insegnanti di matematica, un uomo e una donna, devono essere retribuiti esattamente alla stessa maniera.

Nel 1951 l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite che si occupa di promuovere la giustizia sociale e i diritti umani internazionalmente riconosciuti, adottò la Convenzione sulla Parità Remunerativa. Ad oggi questa convenzione è ratificata da ben 174 paesi, la grande maggioranza degli Stati membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro si è impegnata negli anni successivi poi nell’adottare convenzioni simili a tutela dei diritti delle donne lavoratrici e dei loro diritti anche in tema di remunerazione.

Venendo al contesto europeo, il principio di parità salariale fu subito affrontato nel primo trattato istitutivo di quella che poi sarebbe diventata l’Unione Europea, il famoso trattato di Roma, adottato nel 1957. In questo caso l’articolo che si occupava del principio di parità retributiva nel trattato di Roma, l’articolo 119, non era stato adottato in ottica emancipatoria dei diritti delle donne. Infatti il fine ultimo di questo articolo era evitare la concorrenza sleale tra gli Stati dell’allora Comunità Economica Europea: qualora un paese avesse previsto una remunerazione più bassa per le donne rispetto agli uomini, si sarebbe creata sicuramente una situazione di abuso economico e un vantaggio ingiusto.

Tuttavia nel corso degli anni i vari organi delle istituzioni europee e i governi dei paesi membri della Comunità Europea si impegnarono per garantire alle donne un giusto ed equo stipendio rispetto ai loro colleghi uomini più in un’ottica di promozione sociale delle donne stesse e al di là di ogni questione economica.

Ma anche qui, leggendo i più recenti dati in tema di disparità retributiva, si nota che nei paesi europei, tra gli Stati più avanzati e democratici al mondo, l’iniquità salariale si aggira intorno al 14%. Questo è un dato che, benché sia sicuramente migliore alla media mondiale, è ancora insoddisfacente.

Le donne sono parte fondamentale e insostituibile del mercato del lavoro sia a livello europeo che a livello internazionale. Perché allora continuano ad essere pagate di meno? E perché, nonostante ci siano previsioni e leggi che vietano una retribuzione ingiusta, e nonostante il sentimento comune sia concorde sull’obbligo morale di garantire un uguale stipendio agli uomini e alle donne, i progressi fatti negli ultimi settanta anni non sono soddisfacenti?

Queste domande sono estremamente complesse e implicano tante considerazioni che riempirebbero centinaia di migliaia di pagine. Tuttavia è bene tenere a mente almeno che alla base di questa disparità salariale sta un’ideologia sistemica di matrice patriarcale che ancora ritiene che le donne abbiano un valore inferiore rispetto agli uomini. E questo pensiero purtroppo produce a cascata degli effetti negativi che finiscono per spingere le donne nel mondo del lavoro in un circolo vizioso da cui non riescono ad uscire.

On the one hand, women are indirectly relegated to certain jobs without having access to others: nurses, primary school teachers, cashiers, pediatricians and, more rarely, laboratory technicians, university professors, managing directors or orthopedics of important companies. These latter professions end up being a “closed” circle in which women find have more difficulty in accessing and where their needs, for example maternity leave issues, are less understood. On the other hand, given this division between “jobs for men” and “jobs for women”, the former jobs are more favored in economic terms. Therefore, even if an elementary school teacher has an extremely important educational task of the same impact as a university professor, she is significantly paid less.

Cosa fare quindi? Sicuramente è fondamentale comprendere che purtroppo ancora il traguardo di una parità retributiva tra uomini e donne è estremamente lontano, e di conseguenza è bene prendere consapevolezza di questa iniquità e cercare di informarsi il più possibile su questo ambito. È importante poi che le donne in prima persona prendano parte a tutti quei processi decisionali in cui effettivamente possano portare avanti le loro richieste e chiedere giustizia per una società più equa e più onesta. Questo può avvenire sia a livello di decision-making, quindi parlamenti nazionali o internazionali, comitati locali e non, esecutivi di vario genere. Ma può anche avvenire tramite la rappresentazione delle donne in eventi e progetti a favore dei diritti di tutti i lavoratori.

Lo scorso 18 settembre per esempio, che coincide con la giornata internazionale per la parità salariale, l’associazione Good World Citizen ha invitato cinque donne, provenienti da background professionali e non professionali estremamente diversi, affinché parlassero della questione affrontando il dibattito da vari punti di vista. Sperando che in futuro la lotta per la giustizia salariale sia un lontano ricordo, ci auguriamo che gli sforzi fatti da donne e uomini per un mondo più giusto inizino a portare frutti estremamente presto.

Nadia Bamoshmoosh

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